Amore viscerale per il territorio, passione e curiosità. Questi sono i tre ingredienti fondamentali che si celano dietro un brand che negli ultimi anni ha conquistato silenziosamente (e con caparbietà) una buona posizione nelle vendite Nazionali ed estere di vini messinesi di qualità. Parliamo di Cantine Bonfiglio, realtà vitivinicola relativamente giovane (nata nel 2005 sulle colline nella zona sud del Comune di Messina, tra Giampilieri e Briga), sebbene abbia alle spalle una storia centenaria di amore per la Natura. Ne parliamo con Antonio, ultimo dei Bonfiglio a soccombere al fascino di questo terroir.
- Si, si può tranquillamente dire che ne sono innamorato come più delle generazioni che mi hanno preceduto. In effetti la tenuta apparteneva già al bisnonno di mio padre che l’aveva destinata ad agrumeto in un’epoca in cui gli agrumi avevano un peso specifico elevato in termini economici. Nel 2004, quasi per gioco mio padre decise di inserire qualche pianta di vite. Si rese presto conto che continuare su quella strada poteva dare valore aggiunto alla nostra attività e caratterizzare ulteriormente un territorio che stava dando frutti insperati. Così, decise di andare avanti: espianto buona parte dell’agrumeto che riconvertì in vigneto. La Cantina per come la vedete oggi, nacque solo nel 2015 e nello stesso anno decidemmo di investire per ottenere la certificazione per la coltivazione in biologico di alta qualità.
Eri preparato ad una evoluzione di questo tipo?
- Assolutamente no, peraltro io ho una preparazione che poco o nulla a che fare con la viticoltura. Diciamo che mi sono lanciato in questa avventura per passione e, in un certo qual modo, per onorare le mie radici. Considera che per la prima volta ho toccato con mano il lavoro in tenuta quando avevo appena quattordici anni: avevo lasciato un debito in latino e mio padre, per darmi una lezione, mi fece lavorare per tutta l’estate fianco a fianco ai nostri operai. Fu l’ultima volta che non ottenni un buon risultato negli studi.
Che vini avete in produzione al momento?
- Attualmente la linea comprende tre tipologie di vini che sono il Faro DOC “Piano Cuturi” il Faro DOC “Beatrice” e l’IGT Rosato “Terre Siciliane”.
Il primo è il prodotto di punta dell’azienda, nasce dal blend di cinque uve (Nocera, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese, Nero D’Avola e Sangiovese) raccolte a mano, pigiate e sottoposte a vinificazione separata e a temperatura controllata; successivamente le singole percentuali vengono unite e affinate in botti di rovere per 18 mesi, al fine di rispettare il disciplinare della DOC Faro e al contempo trasmettere i profumi e i sapori della nostra terra. Non ti nascondo che questo è il mio prodotto preferito, anche per motivi affettivi. È dedicato a mia madre e l’etichetta è realizzata dal maestro Enzo Dogo, che ha voluto rappresentare proprio il nostro territorio: il golfo di Giampilieri che guarda verso capo Scaletta all’alba. Il secondo vino ha un passaggio più breve in botte, il terzo, Rosato “Terre Siciliane” Gramino Greco, nasce dall’accostamento di uve di Nerello mascalese e Nocera, vinificate per ottenere un vino rosato, fresco e ricco di profumi. Quest’ultimo devo dirti, che è stata una sorpresa: nonostante il lockdown abbiamo esaurito del tutto la produzione annua. Anche per questo tipo di risultati stiamo pensando di ingrandire l’azienda. Produciamo ogni anno circa 6 mila bottiglie di vino Faro doc, la produzione biologica richiede costi più alti, ma è più attenta alle tempistiche naturali e con un prodotto finale di maggiore qualità, per il quale i clienti sono disposti a spendere anche qualcosa in più ed è proprio questo il nostro target: una clientela attenta ai contenuti e rispettosa dell’ambiente. Fra gli altri nostri progetti, poi, abbiamo deciso di mettere in opera un piccolo impianto per la produzione di marmellate di agrumi e di kit da degustazione.
Un amore viscerale verso questa terra, che si tramanda di generazione in generazione, insomma.
- È del tutto naturale che sia così: noi qui ci siamo nati, ci siamo cresciuti, l’abbiamo vista nel momento del suo massimo splendore e nel momento più buio della sua storia recente: l’alluvione del 2009 che per la nostra attività una vera e propria catastrofe. Buona parte della vigna andò distrutta, tutto era coperto di fango. Uno scenario devastante anche dal punto di vista psicologico. Io ancora non ero del tutto integrato in azienda, ma vedere negli occhi di mio padre così tanto dolore, mi ferii, anche se ti devo dire che lui reagì con una grinta inimmaginabile: si rimboccò le maniche e ripartì praticamente da zero incentivando gli input tecnologici. Forse fu proprio questo suo atteggiamento pervicace che mi spinse ad affiancarlo in modo più significativo. Cominciai a “rubare” tutta la conoscenza che potevo dal nostro enologo, dall’agronomo, dalla stessa terra… Direi che ho vinto una scommessa con me stesso o meglio ho conquistato una parte della posta in palio… Sto puntando, infatti, sul turismo enogastronomico. La struttura consente, infatti, di organizzare eventi, visite guidate e degustazioni, utili a far comprendere fino in fondo le potenzialità del nostro territorio troppo spesso sottovalutato e svilito da atteggiamenti condiscendenti e poco cooperativi. Per questo ci piace di circondarci di giovani e di partner dinamici e operativi, il nostro obiettivo è crescere insieme formati ed informati.