Vostro Onore mi appello alla clemenza della corte! 

Lo confesso: non sono un amante della pizza! 

Ma non è tutto, signor Giudice devo anche ammettere che quelle rare volte che decido di mangiare una pizza, non solo deve essere “speciale”, ma deve rientrare in canoni qualitativi tutti miei (senza passata di pomodoro, impasto in grani antichi, croccante e non troppo soffice, niente formaggi umidicci)…

Inoltre, il mio reato più grande per i “puristi”, è appartenere a quella categoria dei “figli degli anni ‘80” che amavano la pizza all’ananas e, ve lo posso assicurare, ai miei tempi non era certo quella preparata dal maestro Gino Sorbillo per i suoi illustri ospiti, che sta destando in questi giorni un estremo clamore.

I miei detrattori, affermano che, in fatto di pizze, non si può dire che io sia una compagna di tavolo gradita (diciamo che mi avvicino molto a quel personaggio di un film di Lino Banfi, che ordinava un caffè e il noto comico lo riportava indietro in continuazione fraintendendo l’ordine poiché i due ospiti erano nel bel mezzo di una discussione che il povero Banfi invece non coglieva se non a sprazzi, credendo che la comanda cambiasse in continuazione), ma forse sono proprio queste critiche ad avermi spinta verso il ramo dell’enogastronomia, insistendo nel difendere a gran voce la libertà di essere unici ed esigenti davanti al desco imbandito. 

Non me ne vogliate, quindi, se è piuttosto che la classica margherita napoletana dal bordo alto prediligo tutte quelle pizze atrancio, fantasticamente guarnite con ingredienti (solitamente a crudo) di altissima qualità e al contempo figli di combinazioni originali e a volte azzardate, ma che risultano indimenticabili. 

Fortunatamente, negli ultimi anni la tendenza è quella di proporre pizze che non siano le solite Margherita, Quattro Stagioni, Capricciosa, Norma e similari, insomma per me la pizza non è un “comfort food”, ma è un qualcosa di particolare da concederti in quei momenti che ti va di vivere insieme agli amici, in quelle situazioni che vuoi ricordare. Unapizza non necessariamente deve essere tradizionale, ma può tranquillamente inglobare quelle che sono materie prime autoctone e al contempo originali. Per questo, signori della Giuria, ho trovato la mia dimensione in una nuova apertura di Messina città:L’Orso in Duomo, ultima creatura dei fratelli Gianluca e Giuseppe Arcovito e di Giuseppe Denaro.

Intendiamoci, vi avevo detto di essere “lievemente” esigente, quindi è meglio che chiarisca che non si tratta del solito locale “carino” dove gustare una buona pizza, ma un vero e proprio progetto di fine dining,che punta alla valorizzazione della provincia di Messina attraverso l’utilizzo della sua ricca offerta agroalimentare.

Nasce così l’esigenza di creare una rete con i produttori locali partendo dalla loro conoscenza diretta e promuovendone il lavoro attraverso le proposte in carta. Ed è dunque con questo obiettivo che l’intero menu dell’Orso in Duomo, a partire dai condimenti fino ad arrivare alla carta dei vini e delle birre, parla fieramente messinese.

In quest’ottica, Matteo La Spada, pizzaiolo dei locali dell’Orso, in questa sede ha deciso di andare fuori da ogni schema e introdurre una creazione differente da quanto già proposto altrove. E poiché le cose buone hanno bisogno di cura, sapienza e tempo, è con cura, sapienza e tempo che Matteo La Spada ha pensato per L’Orso in Duomo a un prodotto unico, al contempo croccante e morbido, profumato e gustoso. Una lavorazione che prevede l’utilizzo di quattro differenti tipologie di farina al fine di ottenere proprietà strutturali e organolettiche uniche, il cui processo produttivo si svolge in un totale di 32 ore e prevede tre step di cottura in modalità differenti.

Nasce così la “Duomo”, la pizza-non pizza che fa della friabilità la propria caratteristica e che è possibile gustare solo in questa sede. Nel mio piccolo, ho avuto modo di gustare un menù degustazione che includeva: 

STRETTO SOUR

Drink di benvenuto

DEGUSTAZIONE DI PANE AI CEREALI

Mais, grano tenero, margarito, segale, semi di lino e girasole, accompagnato da olio EVO di oliva tonda iblea.

MESSINESE

Crema scalora, scalora saltata in padella, alici del mediterraneo, crema di formaggio, tuma, datterino rosso, pepe nero in grani.

(Un omaggio alla messinesissima focaccia, reinterpretata in modo fresco e dal grande equilibrio. Delicata)

In abbinamento PELORO BIANCO

Grillo e Carricante

LETOJANNI

Provola affumicata, senape selvaggia, crema orso.

(Un sapore insolito, inutile dirvi che l’ho adorato, quello conferito dalla senape selvaggia, accentuato dal profumo conferito dalla provola affumicata. Accattivante)

In abbinamento FARO DOC

Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Nocera, Nero d’Avola

UCRIA

Roastbeef di manzo, salsa tonnata, sedano croccante, foglie di cappero, provola affumicata (Solo per i veri amanti del gusto senza se e senza ma! Eccezionale)

In abbinamento PELORO ROSSO

Nerello Mascalese e Nocera

DISGRAZIATA

Omaggio a Don Minico: melanzane sott’

olio, funghi, salame, primo sale,

datterino rosso semi dry, mortadella, terra di olive, gocce di habamix(Una vera e propria Bomba di gusto! Irresistibile)

NANUCI

100% Nocera

MARIENNE

Sfoglia con mousse di ricotta dolce e zucchero a velo (Carezzevoledolce a cura di Francesco Foti)

Cocktail UN PARTIGIANO A PARIGI

Ottimo anche il Wine Paring, che ha visto protagonista la Cantina Case Matte e i padroni di casa, con i due cocktail (di apertura e chiusura pasto) realizzati dal bravissimo Andrea De Carolis.

Insomma Signori della Corte, a mia difesa concluderei l’ arringa finale affermando che non sono un’assassina di pizze, piuttosto una “Quality Pizza Addictid”, qui di penso proprio di meritare l’Assoluzione per non aver commesso il fatto! 

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